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Internati Militari Italiani: particolare riferimento a Gino Carrara

di:

Magli Aurora

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Internati Militari Italiani: particolare riferimento a Gino Carrara

di:

Magli Aurora

IMI

(Internati Militari Italiani)

Gli Internati Militari Italiani sono parte dell'esercito italiano, circa il 50%, che viene catturata dai tedeschi e deportata nei lager, seguendo un piano nominato: "Operazione ACHSE"

che neutralizzava le forze armate italiane che si trovavano nei teatri bellici ovvero scenari di guerra del Mediterraneo; inoltre tale operazione prevedeva l'occupazione della penisola prima del crollo del Fascismo, che avvenne il 25 Luglio 1945.

Arrivati nei lager veniva chiesto loro di partecipare e collaborare con la Germania e la Repubblica di Salò, creata da Mussolini il 15 Settembre 1943; ma pochi accettarono questa trattativa.

Gli internati erano:

  • ​Ufficiali = tra cui: professori italiani e studenti universitari (nei oflag)

  • Soldati = giovani, lavoratori, contadini, operai e anti nazisti (nei stamlag) 

All'interno dei lager​ le condizioni di vita erano pessime, ed erano presenti diverse malattie, ma oltre a tutto questo non mancavano canti ed ironia che aiutavano a sopravvivere.

Si scoprì inoltre che all'interno del lager di Sandbostel i prigionieri avevano costruito una radio, "Radio Caterina", con cui annunciavano i segreti dell'organizzazione della "Resistance".

La Gestapo, la polizia segreta della Germania, cercò a lungo la radio senza mai trovarla.

Al rientro in patria degli IMI, essi furono intervistati ed emerse che tutti concordavano sul fatto che l'accoglienza era fredda e distaccata, e che la politica dimostrasse un evidente disinteresse. 

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Chi fu Gino Carrara?

Correva l'anno 1943, quando un giovane di soli 19 anni, classe 1924, mentre stava svolgendo il servizio militare a Vercelli, fu reso prigioniero dai tedeschi assieme ai suoi compagni commilitoni (nell'Ottobre 1943), venne trasferito, in seguito, con la tradotta.

Durante il viaggio sua madre, una donna dal carattere deciso e risoluto, la mia tris nonna, sapendo che il figlio era stato catturato, si recò repentinamente alla stazione di Verona pensando di averne notizie e di poterlo incontrare, ma purtroppo non riuscì a realizzare questo suo desiderio.

Mentre sostava in stazione aspettando il passaggio dei treni carichi di prigionieri, notò un convoglio fermo, stipato di giovani ragazzi, si avvicinò per guardare i loro volti con la speranza di vedere il viso del proprio figlio, il mio bis nonno; uno di essi, sporgendosi dal finestrino serrato da inferiate, le gridò di allungargli una sbarra che si trovava in prossimità del treno. 

Nel momento in cui si chinò per raccoglierla un militare tedesco le puntò il fucile alle spalle intimandole in tedesco di lasciare l'oggetto; ella rimase sbigottita e pur non sapendo ciò che le avesse detto intuì e impotente fece cadere l'arnese a terra. 

Dopo un giorno di attesa e ansia, vedendo passare tutti quei convogli stipati di persone, si rese conto di essere inerme dinanzi a tutto ciò e quindi, con rammarico e a malincuore, decise di ritornare a casa. 

Passò un lungo periodo di tempo senza che lei sapesse dove si trovasse il figlio, quando un giorno, che improvvisamente migliorò notevolmente, ricevette una cartolina dal colore giallo nella quale Gino, il figlio, chiedeva notizie dei genitori e li rassicurava dicendo che era in buona salute nonostante le circostanze; inoltre si preoccupava di avere informazioni riguardo all'azienda del padre invece che raccontare e lamentarsi della propria prigionia.

Durante i primi sei mesi era costretto a lavorare nel sottosuolo a diversi metri di profondità per la creazione di proiettili militari, e in questo periodo non aveva contatti con nessuno.

Per questo interminabile lasso di tempo era costretto a lavori lunghi ed estenuanti, a dormire in camerate affollate e a mangiare zuppe acquose o fette di pane nero accompagnate da patate crude; tanto è vero che, per citare un aneddoto, un giorno mentre era in fila per la sua piccola razione di cibo, teneva le mani in tasca e per questo ricevette uno schiaffo da parte di una guardia tedesca; invece un suo compagno, in un analogo episodio,  ebbe la peggio e da quel giorno non fece più ritorno in camerata.

Trascorsi i sei mesi fu trasferito in un'altra cittadina, dove anche qui lavorò in una fabbrica militare all'estero; finalmente poteva socializzare con i compagni e proprio in questo contesto conobbe una ragazza tedesca impiegata nello stabilimento, la quale lo aiutò e lo sostenne in questo difficile periodo e probabilmente lei se ne innamorò.

Anche il mio bisnonno non la dimenticò e fu grato a quella ragazza che con semplici gesti come passare di nascosto del cibo, portò luce in un periodo tanto buio; tant'è che decise una volta diventato padre di chiamare la sua prima figlia, mia nonna, Rita in memoria e ricordo di quella fanciulla.

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